Incontro con Inga Pizāne e la poesia: 5. Incanto

Un tema di conversazione, una poesia, un frammento del diario che Inga Pizāne sta tenendo nei giorni della pandemia, un’immagine tratta dal suo blog. Una canzone. Perché anche la poesia ci venga in soccorso, in questi tempi duri.

Prima del concerto
Prima del concerto – Foto Inga Pizāne

Il coronavirus ha contagiato non solo le nostre vite, ma anche ogni spazio comunicativo. Per cercare di non parlare solo di Covid-19 e contagi, in questi giorni vorrei dedicare uno spazio quasi quotidiano anche alla poesia, uno scambio di idee e pensieri con una fra le più talentuose poetesse della nuova generazione lettone, Inga Pizāne. Oggi la quinta puntata:

5 – Incanto

P. – Alcuni tuoi testi sono stati utilizzati anche in ambito musicale, hai collaborato con gruppi come i Framest e altri musicisti. Com’è stata questa esperienza? 
Molti testi di poeti lettoni in passato sono stati utilizzati in tante canzoni di grande successo e popolarità. Penso a poeti come Māris Čaklais, Jānis Peters, Knuts Skujenieks, Imants Ziedonis, e tanti altri ancora. Nella musica lettone di oggi mi sembra che ci siano molti meno esempi di questo genere, se si esclude il tuo e pochi altri. Sono rimasto affascinato dal progetto di Fondsviegli, gli album prodotti sui testi di Ziedonis, e mi piacciono molto i lavori di Kārlis Kazāks, anche il suo progetto di canzoni su testi nei vari dialetti del territorio lettone, come pure gli album di MESA. Tu come valuti la lingua e i testi della musica lettone contemporanea?  E ti piace ascoltare musica mentre scrivi, oppure la scrittura ha bisogno di silenzio?

Inga – Ho iniziato la mia collaborazione con la musica con il gruppo Framest, per iniziativa di Jānis Ķirsis, che aveva trovato su internet qualche mia poesia. Quando è stata pubblicata la mia prima raccolta ”Tu non sei neve”, ne sono uscite anche due canzoni. I Framest sono stati anche ospiti speciali nella presentazione del mio primo libro. Adesso sono stati prodotti altri brani sui miei testi. E chissà, forse questo porterà ad altri progetti di collaborazione più estesi. Prima dei Framest non avevo immaginato che la mia poesia potesse ”suonare” bene nelle canzoni, anche se allo stesso tempo, segretamente, lo sognavo.
Della musica lettone contemporanea mi piacciono i testi delle canzoni di Intars Busulis, che sono ripresi dai testi di poeti lettoni, poi mi piace molto l’album di Aija Andrejeva “Mežā”, con le parole di un’altra grande poetessa, Māra Zālīte, i testi di Kārlis Kazāks e del rapper Arturs Skutelis, come pure l’ironia e l’autocoscienza di Idus Abra. Quando scrivo amo il silenzio e restare in ascolto del ritmo della scrittura e delle parole, poiché quando ascolto la musica, mi piace farlo con tutta me stessa. Spesso ballo, mi muovo per casa, mentre ascolto musica. Anche ai concerti fatico a stare seduta. Se non ho la possibilità di ballare, spesso finisco per muovere i piedi, le mani, i pensieri.

Visas dziesmas šķiet vienādas, kamēr nemāki vārdus
(tratto dalla raccolta “Siena, ko nosiltināt”)

Tutte le canzoni sembrano uguali, finché non impari le parole.
Tutte le persone. Finché non ti innamori di qualcuna di loro così tanto che non somiglierà a nessun’altra.

Poi niente somiglierà più a niente.

E i sentimenti non possono stare in coda.
Come non possono
le parole.

I bambini ballano.

Assisto al concerto e mi dimentico di ascoltare la musica.

Osservo i bambini – ballare e cadere.
E rialzarsi e riprendere a ballare.

In cielo sboccia una luna piena, pare un grande fiore senza petali e gambo.

Cerchiamo di unirci al canto,
anche se non conosciamo bene le parole.

I bambini ballano.

Canteremo,
finché i bambini balleranno.

acquarello

Frammenti dal ”Diario nei giorni della pandemia”.

Interessante come il Covid entri rapidamente anche nel nostro linguaggio. Per primo in inglese, per poi rifluire direttamente anche in lettone. Ad esempio, kovidioti (COVidiot) (non credo sia necessario chiarire il significato). Fra le parole inglesi nate durante l’epidemia mi piace molto anche “isolationship”. Lo hanno inventato quelli che hanno creato uno degli account che preferisco su Instagram/Facebook, The Language Nerds.

Nel frattempo nell’atrio del mio palazzo mi cade l’occhio su un’offerta di acquisto di capelli, che è già scaduta. Era prevista per il 21 marzo, la Giornata mondiale della poesia. Cos’altro? Cerco di leggere. Ieri ho letto tutti i racconti, che insieme al mio sono stati pubblicati nel nuovo numero di Jaunā Gaita, prima di questo mi ero anche interessata agli articoli del numero di KDi (Kultūras Diena) della scorsa settimana, come pure del capitolo del libro “Reflections on the self” sulla paura, un tema molto attuale adesso.

Cerco anche di scrivere. Le sere mi prendo una pausa di un paio d’ore da internet, altrimenti si rischia di diventar matti. Da una parte, internet ci OFFRE tutto, dall’altra ci PRENDE tutto (con tutto mi riferisco al tempo). Questa è la sensazione. La ricerca di un eterno equilibrio: quanto dare e quanto tenere per sé e per altri interessi personali, il benesere, il ripulirsi la mente, e il riposo. Dato che anche il lavoro si svolge in internet, i confini sono ormai molto labili. L’unica cosa che può venire in soccorso è l’autodisciplina, una lista di lavori da svolgere, una passeggiata, la scrittura manuale (di un diario, di una cartolina, di una lettera), che proseguo parallelamente al blog e allo scambio di mail con gli amici. Sembra che anche i miei amici (insieme alle preoccupazione per la salute e le finanze) sperimentino fiammate creative – nascono nuovi lavori letterari. Per questo non c’è da far altro che gioire!

[continua]

Puntate precedenti 1. Ritrovarsi2. Introversi3. Arcobaleni4. Due metri

I testi delle poesie e del ”Diario nei giorni della pandemia” e le foto tratte dal blog di Inga Pizāne, sono pubblicati per gentile concessione dell’autrice. Diritti riservati.
Traduzioni: Paolo Pantaleo.

Colonna sonora dell’incontro di oggi: Antony and The Johnsons – The Lake

The Lake – Edgar Allan Poe

In spring of youth it was my lot
To haunt of the wide world a spot
The which I could not love the less —
So lovely was the loneliness
Of a wild lake, with black rock bound,
And the tall pines that towered around.

But when the Night had thrown her pall
Upon that spot, as upon all,
And the mystic wind went by
Murmuring in melody —
Then — ah then I would awake
To the terror of the lone lake.

Yet that terror was not fright,
But a tremulous delight —
A feeling not the jewelled mine
Could teach or bribe me to define —
Nor Love — although the Love were thine.

Death was in that poisonous wave,
And in its gulf a fitting grave
For him who thence could solace bring
To his lone imagining —
Whose solitary soul could make
An Eden of that dim lake.